Solo fintanto che sarai nella notte tu potrai credere a qualcuno che ti racconti il giorno.
Se qualcuno volesse procrastinare la notte dell'uomo, non dovrebbe fare altro che congelare l'animo umano nella condizione del credere.
Per poter continuare a credere l'uomo dovrebbe procedere, simbolicamente, inseguendo gli astri della notte in modo tale da fuggir dal Sole, il re del giorno.
Questa è, in estrema sintesi, la realtà del verbo credere, un verbo vuoto che, a parer mio, è stato utilizzato da noti centri di potere del passato e del presente come potentissima arma utile a soffocare la libertà e la fioritura dell'uomo.
Non poteva sfuggire, infatti, a chi ha codificato e plasmato le strutture di potere spirituale, che quando si entra nel campo vasto e profondo della spiritualità e dell'animismo l'unico verbo che ha valore e che manifesta un contenuto è il verbo "sentire".
Anche il verbo "amare", come i verbi "perdonare", "accettare", "meditare", "comprendere"... assumono un vero significato solo in quanto sentieri che conducono al sacro tempio del "sentire".
Quello che si può fare nella vita è, in definitiva, "sentire" o "non sentire", cercare di giungere al sentire o non cercare. Poi, escluso il sentire, ovvero esclusa l'unica cosa che conta, si può anche credere o non credere, ma cosa cambia? Che differenza sostanziale c'è tra il credere e il non credere? Cosa cambia in te, che tu decida di credere o che proclami piuttosto di non credere? Che cosa significa in fondo credere?
Se qualcuno volesse procrastinare la notte dell'uomo, non dovrebbe fare altro che congelare l'animo umano nella condizione del credere.
Per poter continuare a credere l'uomo dovrebbe procedere, simbolicamente, inseguendo gli astri della notte in modo tale da fuggir dal Sole, il re del giorno.
Questa è, in estrema sintesi, la realtà del verbo credere, un verbo vuoto che, a parer mio, è stato utilizzato da noti centri di potere del passato e del presente come potentissima arma utile a soffocare la libertà e la fioritura dell'uomo.
Non poteva sfuggire, infatti, a chi ha codificato e plasmato le strutture di potere spirituale, che quando si entra nel campo vasto e profondo della spiritualità e dell'animismo l'unico verbo che ha valore e che manifesta un contenuto è il verbo "sentire".
Anche il verbo "amare", come i verbi "perdonare", "accettare", "meditare", "comprendere"... assumono un vero significato solo in quanto sentieri che conducono al sacro tempio del "sentire".
Quello che si può fare nella vita è, in definitiva, "sentire" o "non sentire", cercare di giungere al sentire o non cercare. Poi, escluso il sentire, ovvero esclusa l'unica cosa che conta, si può anche credere o non credere, ma cosa cambia? Che differenza sostanziale c'è tra il credere e il non credere? Cosa cambia in te, che tu decida di credere o che proclami piuttosto di non credere? Che cosa significa in fondo credere?
Per rispondere a certe domande il modo migliore spesso è... continuare con le domande: Abbiamo bisogno, noi, di "credere" al Sole quando siamo scaldati dalla sua luce? Dobbiamo, noi, "credere" che cada acqua dal cielo quando siamo bagnati da un temporale? Può aver motivo di credere colui che sente? Si può "sentire" e, contemporaneamente, "credere"?
È evidente che si può credere solo a ciò che "non si sente" poiché, dal momento in cui interviene il sentire, il credere evapora, si dissolve, svanisce come qualcosa che non ha nessun motivo di esistere, come il buio che abbandona il trono del cielo portando con se il suo carosello di piccole e flebili luci quando l'aurora annuncia l'avvento glorioso del signore del giorno.
Ed è questo il punto: perché tu creda devi "non sentire" ciò che affermi di credere, e per continuare a credere, sottilmente, devi impegnarti a "non sentire", contentandoti di quanto affermato dall'autorità a cui hai deciso di affidarti, a cui hai deciso di "credere".
Ecco cosa vuol dire credere: affidarsi ad un'autorità, qualunque essa sia; può essere una chiesa, un guru di qualche tipo, un partito, un ministero... non importa, sarà sempre un signore del buio a cui tu garantirai una stabile notte perché ti racconti quello che sa, o quello che vuole che tu sappia, del giorno.